Un'altra sentenza del Tribunale di Pisa condanna un medico competente per omessa collaborazione alla valutazione dei rischi.
Il Tribunale di Pisa (Sezione Penale, con sentenza 7 dicembre 2011 n. 1756) ha condannato un medico competente per il reato di omessa collaborazione alla
valutazione dei rischi.
I fatti:
L’azienda per la quale il medico competente effettuava il proprio ruolo svolgeva l'attività di conservazione, immagazzinamento e commercio di pellami ed era in regime di autocertificazione avendo meco di dieci dipendenti.
Il datore di lavoro aveva prodotto all’ASL, in occasione di una visita ispettiva, un'autocertificazione e non era stato “in grado di documentare, mediante referti di analisi, predisposizione di misure sanitarie ecc. che i rischi presenti in azienda (biologico, di scivolamento, di inalazione dei gas di scarico prodotti dai carrelli elevatori e di cadute dall'alto] fossero stati effettivamente individuati ed adottate le idonee misure di tutela sanitaria.
Tra l'altro, l’organo di vigilanza aveva accertato la “mancata creazione del servizio di primo soccorso dato che non era stato sostituito il lavoratore che vi era addetto, nel frattempo collocato a riposo.”
Nell’intento di ottemperare alle prescrizioni ricevute, il datore di lavoro e il medico competente avevano elaborato con l’ausilio dell’RSPP un documento di valutazione dei rischi che però secondo il Tribunale “non ovviava agli specifici rilievi formulati dagli organi di vigilanza dal momento che - per rimanere agli addebiti concernenti la figura del medico competente, non individuava né prevedeva misure di contenimento del rischio biologico e del rischio di inalazione dei gas di scarico”.
Il mancato adempimento alla prescrizione impartita veniva segnalato così alla Procura della Repubblica. Solo tardivamente, con una memoria difensiva, il medico competente adempiva producendo una “integrazione al documento di valutazione dei rischi, col quale prendeva finalmente in considerazione il rischio biologico, per il quale prescriveva come misura di prevenzione una terapia vaccinale, il rischio di inalazione dei gas di scarico, per il quale prescriveva analisi più approfondite da parte del datore di lavoro sulle conseguenze dell’impiego dei carrelli elevatori, e infine dava atto di aver provveduto a formare con un corso di 12 ore un nuovo addetto al servizio di primo soccorso.”
In diritto.
La sentenza del Tribunale molto articolata, può essere sintetizzata, per alcuni punti così:
1) Nuovo approccio dello “statuto professionale” del medico competente dopo il decreto 106/2009
Il Tribunale parte dalla premessa che “i più recenti interventi del legislatore hanno sensibilmente modificato la figura professionale del medico competente, aggiungendo alle sue tradizionali attribuzioni in materia di sorveglianza sanitaria il nuovo ruolo di consulente del datore di lavoro in materia di valutazione dei rischi” e che la ratio della norma incriminatrice sia “quella di stimolare, con la comminatoria della sanzione penale, l'adeguamento della figura del medico competente alle nuove attribuzioni e in definitiva alla nuova mentalità professionale che gli sono state assegnate)”.
E pur ammettendo che l’inserimento della sanzione penale dell’arresto o dell’ammenda all’interno dell’art. 58 del decreto 81/08 nel 2009 (con il decreto 106) non è stata esente da critiche da parte di autorevoli voci nell’ambito del dibattito scientifico, dal momento che “come evidenziato dai commentatori più avvertiti, è indubbio che si sia creata per questo verso una evidente disarmonia all'interno del sistema di prevenzione e protezione dal momento che tra le due figure professionali ugualmente gravate del ruolo di ausiliario del datore di lavoro in materia di valutazione dei rischi (il responsabile del servizio di prevenzione e protezione previsto dall'art. 33 e il medico competente) è stato assegnato rilievo penale solo alla mancata collaborazione di quest'ultimo, e non invece a quella del primo”, nondimeno il Giudice di Pisa parte dal presupposto che questo è il “sistema normativo oggi vigente” e che la priorità per gli interpreti a questo punto è rappresentata dall’“individuazione dell'esatto contenuto precettivo della norma, stante l'evidente genericità del modello di condotta sanzionato come doveroso.”
2) La collaborazione del medico competente nelle aziende in regime di autocertificazione
Il Tribunale ricorda che “le modalità semplificate di valutazione dei rischi previste dall'art. 29 5° comma, se da un lato legittimano il datore di lavoro a non redigere un formale D.V.R. emettendo in sua vece una semplice autocertificazione, dall'altro lato non lo esonerano dall'obbligo di procedere comunque alla valutazione dei rischi, alla quale il medico competente deve dunque prestare la sua doverosa collaborazione.”
E, ancor di più, secondo Cass. Pen. 3.3.2011 n. 23968, richiamata in sentenza, “integra il reato previsto dall'art. 4 comma secondo del D. Lgs. 19.9.1994 n° 626 l'omessa elaborazione del documento di valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro di un'azienda che occupi fino a dieci addetti, in quanto le modalità semplificate di adempimento degli obblighi in materia di valutazione dei rischi, previste per tali aziende dal comma undicesimo della citata disposizione, non esonerano il datore di lavoro dall'obbligo di predisporre e tenere il predetto documento.”
3) Dove finisce l’obbligo del datore di lavoro e dove inizia quello del medico competente rispetto alla valutazione dei rischi: il “perimetro” dell’obbligo del medico
Il Giudice di Pisa precisa che “ciò che si chiede al medico competente non è l'adempimento di un obbligo altrui (la redazione del D.V.R.). ma lo svolgimento del proprio obbligo di collaborazione, vale a dire l'esauriente sottoposizione al datore di lavoro dei rilievi e delle proposte in materia di valutazione dei rischi che coinvolgono le sue competenze professionali in materia sanitaria.” E, di conseguenza, “una volta che il medico competente abbia assicurato quanto sopra, egli ha esaurito il perimetro della sua condotta doverosa, con l'ovvia conseguenza che l'eventuale ulteriore inerzia del datore di lavoro diverrebbe costitutiva di esclusiva responsabilità penale di quest'ultimo.”
4) Il medico competente ha l’obbligo di collaborare non solo su richiesta del datore di lavoro ma anche in base alle conoscenze acquisite “di sua iniziativa”
La questione è: il medico competente deve prestare la sua collaborazione col datore di lavoro di sua iniziativa o solo previa richiesta di quest’ultimo? In caso di totale inerzia del datore di lavoro rispetto all’attivazione della procedura della VR, la condotta omissiva del medico ha rilievo penale?
Il Tribunale fornisce una risposta a questo quesito partendo dalla distinzione tra elementi di conoscenza che il medico competente riceve dal datore di lavoro, mancando i quali il medico non può avere la possibilità materiale di collaborare alla valutazione dei rischi, e informazioni che il medico “può e deve acquisire di sua iniziativa”. E quindi, “mentre è evidente che il medico competente non può essere chiamato a rispondere dell’omessa valutazione dei rischi la cui conoscenza gli era impedita dall'inerzia del datore di lavoro [ad es. per omissione dell’obbligo di fornire le informazioni di cui all’art. 18 comma 2, n.d.r.], lo stesso non può dirsi per quei profili di rischio che egli poteva e doveva conoscere di scienza propria in virtù dei canali officiosi di acquisizione dei dati da ultimo menzionati. In questo secondo caso deve ritenersi che rientri nei compiti di collaborazione prescritti dall art. 25 l'obbligo di segnalare al datore di lavoro tutti i profili di rischio di cui il medico competente sia comunque venuto a conoscenza unitamente all'indicazione delle misure di tutela ritenute necessarie, senza bisogno di attendere di essere a ciò richiesto dall'imprenditore.”
5) Anche le violazioni solo parziali (e solo caratterizzate da colpa) dell’obbligo di collaborare alla valutazione dei rischi possono avere rilevanza penale
Secondo il Tribunale “la sanzione penale, nella intenzionale genericità del precetto introdotto dall'art. 58 lett. c) colpisca ogni inosservanza dell'obbligo di collaborare, anche se solo parziale, e anche se sorretta dal solo elemento soggettivo della colpa.”
Assume pertanto rilevanza secondo il Giudice di Pisa“non soltanto l'omissione intenzionale della collaborazione (che è eventualità invero difficilmente ipotizzabile per un professionista remunerato ad hoc) ma anche la collaborazione colposamente incompleta, imperita, inadeguata”.
Questi gli approdi interpretativi cui perviene il Tribunale di Pisa con la recente sentenza del dicembre 2011, che in alcuni punti si ricollega - benché non esplicitamente - alla precedente sentenza del medesimo Tribunale ( 13 aprile 2011 n. 399) di cui la pronuncia appena commentata rappresenta una più complessa e articolata evoluzione.
Nel caso della precedente sentenza dell’aprile 2011, di rilevanza fondamentale risultava la circostanza che il protocollo sanitario fosse incongruente e scollato rispetto al documento di valutazione dei rischi: “gli organi ispettivi hanno verificato alcune incongruenze tra quanto risulta nel documento di valutazione dei rischi aziendali rispetto al protocollo sanitario adottato dal medico. Peraltro, a seguito delle prescrizioni formulate dall’USL, la ditta ha provveduto ad inviare un documento che teneva conto esattamente delle indicazioni del medesimo organo ispettivo, il che conferma l’esattezza delle stesse”.